venerdì 18 luglio 2008

Email a Sandro Curzi


Email a: Sandro Curzi (http://it.wikipedia.org/wiki/Sandro_Curzi)
Inviata il: 18 luglio 2008


Caro Sandro,

ti metto nel novero delle persone che non conosco personalmente e a cui tuttavia oso dare del "tu" perché mi hai sempre suscitato un senso di familiarità e fiducia. Ti ricordo ancora quando dirigevi quella terra franca che era il Tg3 ai tempi di Tangentopoli, ciò che i dimenticati potenti di allora (Craxi, Andreotti, Forlani) definirono Tele-Kabul, involontariamente regalando anche a noi telespettatori l'orgoglio di irriducibili guerriglieri. Quando in occasione di un editoriale nelle nostre case apparivano il tuo faccione, la pelata alla Kojak, la voce calda e i tuoi modi pacati, anche il disgusto per l'ultimo vomitevole scandalo amministrativo, perfino il dolore straziante per le stragi mafiose (una dietro l'altra: ci hanno strappato via i migliori!) si scioglievano poco a poco davanti al carisma di un nonno buono, uno che tante ne ha viste e che sempre è andato avanti, uno dei pochi che ha numeri e storia per invitarti a fare altrettanto. Non so dire oggi quanto quest'aura che emanavi fosse oggettiva, quanto dipendesse da come ti vedevo io: come ho detto non ti conosco personalmente. Ma non voglio nemmeno scoprirlo ora: gli unici ricordi intoccabili sono quelli che appartengono alla gioventù. Nemmeno alla luce della notizia di ieri (come consigliere di amministrazione della RAI ti sei astenuto sulla mozione che avrebbe allontanato Saccà dalla RAI) voglio intaccare quei ricordi: Tele-Kabul rimarrà per sempre la roccaforte invitta su cui insieme ad altri sconosciuti indignati d'Italia vidi sventolare per qualche stagione la bandiera del mio idealismo, che una vita fuori dai confini patri mi ha concesso in discreta misura di preservare.

Resta il fatto, incomprensibile a molti, comprensibile a quanti di noi hanno deciso di non credere più a niente, che il tuo voto di astensione ha permesso a Saccà, colui che al telefono con Berlusconi scambiava donnine con senatori come i bambini si scambiano le figurine, di rimanere alla RAI. Al di là del danno d'immagine per l'azienda in cui per una vita con o accanto a Sergio Zavoli, Enzo Biagi, Andrea Barbato hai lavorato, trattasi di operazione inutile: il ruffiano ormai è bruciato; nemmeno nell'Italia odierna, abituata a bere scandali come acqua corrente, è più riciclabile – praticamente gli rimane solo la politica attiva. Tutto sembra piuttosto solo un gioco di potere: dimostrare chi comanda. Ma perché, c'è qualcuno che dubita che non lo abbiamo ancora capito?

Non appartengo né a quanti dichiarano di non comprendere, né a quelli che affermano di riuscirci anche fin troppo bene. Soprattutto non giudico. Non lo faccio per cultura personale e anche perché non ho mai provato ad avere 80 anni: non posso oggi mettere la mano sul fuoco sulla condotta del vecchio che un giorno sarò. Se fossi obbligato a commentare il tuo voto in consiglio probabilmente cercherei le parole nella difesa generosa che Marco Travaglio fece di Fabio Fazio riguardo alla di lui "autocritica" in diretta televisiva il giorno dopo la puntata su Schifani. Ma non ne sono obbligato. Avrei un'unica cosa da chiederti: perché astenersi? Difficile che tu non sapessi che un'astensione equivaleva a un voto per Saccà, quindi perché astenersi? L'astensione pilatesca non è cosa che ti appartenga, a te che hai sempre tirato dritto per la tua strada con le tue convinzioni, spesso contro corrente. Da te mi sarei tutt'al più aspettato un voto contrario, magari motivato con quel confuso concetto di garantismo che è da sempre uno dei totem della sinistra. Ma un'astensione no. Quella, con il Kojak buono dei bei giorni di Tele-Kabul, non c'entra nulla.

Cordiali saluti


Riporto sotto l'articolo con la notizia. L'articolo è anche reperibile tramite il link: http://www.repubblica.it/2007/09/sezioni/politica/rai-cda-2/vicenda-sacca/vicenda-sacca.html?ref=search

Rai, il Cda salva Saccà

ROMA - Con 4 contrari, 3 a favore e 2 astenuti il Consiglio di amministrazione della Rai ha bocciato la proposta di licenziamento del direttore di Rai Fiction, Agostino Saccà, avanzata dal direttore generale Claudio Cappon a causa delle "gravi violazioni accertate ed al notevolissimo danno d'immagine subito dalla Rai". "Sono contento", ha commentato l'ex direttore di Rai Fiction. Nella sua relazione Cappon spiega anche al Cda che tutti gli elementi a disposizione "evidenziano in modo cristallino che il Dott. Saccà ha tenuto comportamenti contrari ai suoi doveri di dirigente Rai, in chiara violazione del Codice Etico che ha sottoscritto e al cui rispetto si è impegnato e ha di fatto leso in modo determinante il vincolo di fiducia che è alla base del rapporto tra un'azienda ed i suoi dirigenti, a maggior ragione se incaricati di ruoli di massima visibilità e responsabilità". Il licenziamento, osserva al contrario il consigliere Giuliano Urbani, sarebbe al contrario un atto "radicalmente inaccettabile e profondamente contrario alla tutela dell'interesse aziendale, che deve sempre rappresentare il fondamento stesso dei doveri di qualsiasi amministratore". Saccà era stato sospeso dall'incarico dalla Rai in seguito all'inchiesta nata da intercettazioni telefoniche della procura di Napoli su presunti accordi tra il direttore e Silvio Berlusconi sulla collocazione di aspiranti attrici. Era però tornato in Rai il 3 luglio, grazie all'ordinanza di un giudice del lavoro. Ad astenersi nel voto in Cda sulla proposta di licenziamento di Agostino Saccà, avanzata dal direttore generale della Rai Claudio Cappon, sono stati Sandro Curzi e Marco Staderini. Voto contrario da Giuliano Urbani, Gennaro Malgieri, Giovanna Bianchi Clerici, Angelo Maria Petroni. Voto favorevole da Nino Rizzo Nervo, Carlo Rognoni e dal presidente Claudio Petruccioli. Saccà ha preferito non commentare le ipotesi di un suo trasferimento, ma non ha rinunciato a fare notare la spaccatura all'interno del cda: "certe astensioni dicono molto del valore di questo voto rispetto al senso della verità". Poi ha aggiunto: "sono soddisfatto perché anche il giudice-azienda ha ascoltato le mie ragioni". (16 luglio 2008)

domenica 13 luglio 2008

Email a Walter Veltroni


Inviata il: 13 luglio 2008

Caro Walter,sul sito del PD oggi hai scritto:

Comincia da qui un nuovo viaggio, una straordinaria mobilitazione verso la manifestazione del 25 ottobre. Al governo, preso a tutelare gli interessi del premier, noi risponderemo parlando di salari, occupazione e tasse che aumentano. Ci batteremo per risolvere i problemi di cui si parla nelle case degli italiani.

È ragionevole che nell'agenda del tuo nuovo viaggio tu ponga l'accento sui problemi reali degli Italiani, come i salari, l'occupazione e le tasse. Ma perché subordini questo ai principi costituzionali del nostro Paese, che sono alla base della nostra storia e della nostra convivenza civile? Perché usi il verbo "risponderemo", come se si trattasse di uno scambio di argomenti, come se la pagnotta fosse più importante della libertà? La pagnotta certo è importante, ma guarda che ancora non siamo ai livelli dell'Etiopia in termini di reddito, ci siamo però in termini di libertà, quindi se c'è una priorità questa oggi riguarda i principi costituzionali. Per farti capire meglio dove per me sta la priorità ti dico che sarei pronto a digiunare per una settimana pur di non vedere il Presidente Napolitano firmare il lodo Alfano. Tanto più importante è per me la nostra Costituzione rispetto alla pagnotta.

Cordiali saluti


Riporto sotto l'articolo alla cui introduzione si fa riferimento nell'email. L'articolo è anche reperibile tramite il link: http://www.partitodemocratico.it/gw/producer/dettaglio.aspx?ID_DOC=55025

Un nuovo viaggio

Walter Veltroni ha apposto a Prato la prima firma di "Salva l'italia", la petizione lanciata dal PD contro il governo Berlusconi. L’appuntamento finale sarà la manifestazione in programma il 25 ottobre, quando il Pd porterà in piazza migliaia di persone per manifestare contro le politiche del governo Berlusconi. Ma il battesimo di Prato è stato per Veltroni un’ulteriore occasione per parlare dei fatti di queste ultime settimane: la manifestazione di piazza Navona, il lodo Alfano, il decreto sulla sicurezza e la Robin tax. Intanto sull’inizio della raccolta delle firme il segretario del PD ha ribadito: "Oggi è la prima firma ma già da stamani sul sito hanno aderito 3500 persone. La petizione unisce la preoccupazione per le regole del gioco con la forte sottolineatura dell'emergenza sociale del Paese. In un'Italia in cui da mesi si parla solo dei problemi del presidente del Consiglio noi vogliamo parlare di occupazione, salari, delle tasse che aumentano anziché diminuire, dei tagli alle forze dell'ordine cioè di problemi di cui si parla nelle case degli italiani". Prima una riflessione sulla Robin tax che Veltroni non esita a definire l'ennesima presa in giro per gli italiani: "C'è un ministro che pensa di essere Robin Hood ma sapete di 5 miliardi derivanti dalla Robin Hood Tax vanno ad aiutare i poveri? Duecento milioni". Ancora una volta con la sua ironia Veltroni ha osservato che si tratta dei soliti annunci demagogici della maggioranza ai danni dei cittadini italiani. Così come il decreto sulla sicurezza, un’altra questione su cui il centro destra ha gettato fumo negli occhi. Veltroni ha ricordato senza mezze misure che il PD è orientato a votare contro il decreto sicurezza perchè "ha ancora fortissime contraddizioni. Al tempo stesso, esprimiamo soddisfazione per aver smascherato il gioco lodo Alfano-blocca-processi, e per aver fatto saltare una norma che avrebbe paralizzato la giustizia italiana". "A conferma di ciò - ha detto Veltroni - appena approvato il Lodo Alfano l'emendamento blocca processi è stato cancellato" perché quell'emendamento "non era fatto per il paese ma per una persona sola che è quella tutela dal Lodo Alfano". Poi il segretario è intervenuto ancora una volta sulla manifestazione di Piazza Navona e su Di Pietro: "Da Di Pietro non accetto lezioni di etica pubblica e di correttezza, avevamo detto che avremmo fatto un gruppo unico e poi ha cambiato idea, ma un impegno preso va rispettato". Sul popolo che ha manifestato a piazza Navona, Veltroni ripete che va rispettato perché “quella piazza era fatta di persone perbene ma dal palco c'è chi ha attaccato quel magnifico garante che è Napolitano, il PD e anche il Papa. Per quelle persone che sono andate in quella piazza ho rispetto, ma non ho rispetto per chi ha cercato di utilizzarle e che ha fatto discorsi del tutto inaccettabili". Secondo Veltroni quelle piazza non ha fatto altro che fare un grande regalo a Berlusconi. Prima di chiudere ancora una riflessione su Grillo: “Prima di accettare lezioni voglio vedere il curriculum di Beppe Grillo, sapere cosa ha fatto per le persone che soffrono quali battaglie civili ha condotto".Veltroni ritorna sul PD per ricordare a tutti che si tratta della più grande forza riformista e al riguardo, prende spunto anche da alcuni recenti titoli apparsi sul Sole 24 Ore che invitavano a voltare pagina, a cambiare i temi dell’agenda politica visto che “per la prima volta c’è una grande forza riformista al 34%, un dato da cui partire per allargare e costruire il partito”. Veltroni concorda che è proprio “da qui che bisogna partire con serenità e fiducia perché dobbiamo uscire dal passato”. Intanrto nel futuro immediato del PD, Veltroni ricorda a tutti che da martedì prossimo la Direzione nazionale darà il via al tesseramento, e annuncia che subito dopo l'estate riprenderà il giro per l'Italia in pullman.

Email a Curzio Maltese


Email a: Curzio Maltese (http://it.wikipedia.org/wiki/Curzio_Maltese), inviata via larepubblica@repubblica.it
Inviata il: 21 giugno 2008


Caro Sig. Maltese,

anche lei dunque oggi con il suo editoriale "Il morso del caimano" si unisce agli accorati pianti di suoi esimi colleghi che nei giorni scorsi lamentavano un disinteresse della società civile per la triste sorte a cui un certo signore sta condannando il Paese. Ebbene, sappia che leggere i vostri editoriali è per me, come penso per tanti altri italiani orfani della sinistra, che hanno votato il PD senza emozione, come sentirsi un coltello rigirarsi in una ferita aperta. Quello che brucia non è la cronaca politica di queste settimane, ma ripensare alle occasioni perse.

Lei stesso cita i girotondi del 2001, si direbbe rivalutandoli. È esistito nella storia recente d'Italia un movimento più felice, spontaneo e civile di quello? Ma inserisca nel motore di ricerca di Repubblica la parola "girotondi" e si rilegga l'atteggiamento che la sinistra istituzionale ebbe nei confronti di quelle iniziative fra il 2001 e il 2002, l'anno in cui piano piano esse cominciarono a spegnersi. Furono critiche, a volte addirittura aperte condanne; ma nella maggioranza dei casi gli strateghi della sinistra si allinearono in una tattica di finto dialogo e vera emarginazione, che contava sull'impossibilità che un movimento tanto spontaneo durasse abbastanza a lungo per modificare gli assetti della legittimazione e del potere politici.

Poi arrivò la stagione di Cofferati. Tre milioni di persone al Circo Massimo nel 2002. È esistito nella storia recente d'Italia un più chiaro esempio di investitura di un leader? Ma quando Cofferati cominciò a fare paura all'establishment di sinistra, anch'egli fu accerchiato dal silenzio, alla fine "disarmato", promosso sindaco a Bologna; oggi criticato dai garantisti radical-chic perché la sua amministrazione pone la sicurezza dei cittadini al primo posto.

E oggi? Secondo lei e i suoi colleghi c'è rimasto poco o niente. Non c'è più qualcosa come Società Civile del post-tangentopoli a Milano, o come l'entusiasmo intorno alla Rete di Orlando. La gente non fa più girotondi e perfino Cofferati si è ridotto a un incattivito sindaco di provincia. Non c'è più niente, dunque. Ma ne è proprio sicuro? Ci pensi bene, magari anche un minuto intero, poi si riponga la questione e la riponga ai suoi colleghi che dipingono l'Italia come un paese di ignavi intristiti e rassegnati: davvero in Italia non c'è più nessuno che si indigna, che riempie le piazze di gente civilmente arrabbiata, che sul suo sito ha più contatti di Repubblica.it? Vede che ci sta arrivando anche lei! Sì, è "l'arci-italiano, la summa di tutti i vizi di noi italiani", ovvero il prossimo bersaglio di una sinistra perdente in eterno che, pur di non rinunciare al suo angolino di potere, preferisce consegnare il Paese nelle mani non di un caimano, ma di un vero e proprio Terminator, un androide impazzito il cui programma è quello di salvare se stesso ad ogni costo.

Si renda conto per favore della responsabilità che un intellettuale "della parte giusta" come lei ha in un momento storico come questo e aiuti chi di dovere a comprendere che la gente che ancora va in piazza a protestare (a prescindere da chi ce la porti) è una risorsa del Paese e non un nemico. E che essa è una realtà, niente affatto virtuale come qualcuno vorrebbe.

Cordiali saluti


Riporto sotto l'articolo di Curzio Maltese a cui fa riferimento l'email. L'articolo è anche reperibile tramite il link: http://www.repubblica.it/2008/06/sezioni/politica/giustizia-2/maltese-morso-caimano/maltese-morso-caimano.html


Il morso del Caimano
di CURZIO MALTESE

Silvio BerlusconiÈ un po' ingenuo, anzi molto, stupirsi che Berlusconi sia tornato Caimano. Se esiste una persona fedele a se stessa, oltre ogni umana tentazione di dubbio o di noia, questa è il Cavaliere. Era così già molto prima della discesa in politica, con la sua naturale carica eversiva, il paternalismo autoritario, l'amore per la scorciatoia demagogica e il disprezzo irridente per ogni contropotere democratico, a cominciare dalla magistratura e dal giornalismo indipendenti, l'insofferenza per le regole costituzionali, appresa alla scuola della P2. Il problema non è mai stato quanto e come possa cambiare Berlusconi, che non cambia mai. Piuttosto quanto e come è cambiata l'Italia, che in questi quindici anni è cambiata moltissimo. In parte grazie all'enorme potere mediatico del premier. Ogni volta che Berlusconi ha conquistato Palazzo Chigi ha provato a forzare l'assetto costituzionale e per prima cosa ha attaccato con violenza la magistratura. Lo ha fatto nel 1994 con il decreto Biondi, primo atto di governo; nel 2001, quando i decreti d'urgenza sulla giustizia furono presentati prima ancora di ricevere la fiducia; e oggi. Con una escalation di violenza nei toni e, ancor di più, nei contenuti dei provvedimenti. Il pacchetto giustizia di oggi è più eversivo della Cirami e del lodo Schifani, a sua volta più eversivi del "colpo di spugna" del '94. Ma, alla crescente forza delle torsioni imposte da Berlusconi agli assetti democratici, ha corrisposto una reazione dell'opinione pubblica sempre più debole. Nel '94 la rivolta contro la "salva-ladri" azzoppò da subito un governo destinato a durare pochi mesi. Nel 2001 i "girotondi" inaugurarono una stagione di movimenti, con milioni di persone nelle piazze, che si tradussero fin dal primo anno in una serie di pesanti sconfitte elettorali per la maggioranza di centrodestra, pure larghissima in Parlamento.
La terza volta, questa, in presenza di un tentativo ancora più clamoroso di far saltare i cardini della magistratura indipendente, la reazione è molto debole. L'opposizione, accantonate le illusioni di dialogo, annuncia una stagione di lotte, ma non ora, in autunno. La cosiddetta società civile sembra scomparsa dalla scena. I magistrati sono gli unici a ribellarsi con veemenza, ma sembrano isolati, almeno nei sondaggi. Quasi difendessero la propria corporazione e non i diritti e la libertà di tutti, così come l'hanno disegnata i padri della Costituzione. Ecco che la questione non è che cosa sia successo a Berlusconi (nulla), ma che cosa è successo al Paese. Siamo davvero diventati un "paese un po' bulgaro", come si è lasciato sfuggire il demiurgo pochi giorni fa? La risposta, purtroppo, è sì. In questo quarto di secolo che non ha cambiato Berlusconi, l'Italia è cambiata molto e in peggio, il tessuto civile e sociale si è logorato, il senso comune è stato modellato su pulsioni autoritarie. Molti discorsi che si sentono negli uffici, nei bar, sulle spiagge oggi, da tutti e su tutto, si tratti di immigrazione o di giustizia, di diritti civili come di religione, di Europa o di sindacati, nell'Italia del '94 sarebbero stati inimmaginabili. Il berlusconismo è partito dalla pancia di un Paese dove la democrazia non si è mai compiuta fino in fondo, per mille ragioni (ragioni di destra e di sinistra), ma ora ha invaso tutti gli organi della nazione ed è arrivato al cervello. La mutazione genetica della società italiana è evidente a chi ci guarda da fuori. Perfino negli aspetti superficiali, di pelle: non eravamo mai stati un popolo "antipatico", com'è oggi. Più seriamente, il ritorno di Berlusconi al potere e le sue prime e devastanti uscite hanno evocato i peggiori fantasmi sulla scena internazionale. Si tratta però di vedere se il "caso Italia" è tale anche per gli italiani. Se nell'opinione pubblica esistano ancora quei reagenti democratici che hanno impedito nel '94 e nel 2001 la deriva, più o meno morbida, verso un regime. I segnali sono contraddittori, la partita è aperta. Certo, in questi decenni la forza d'urto del populismo berlusconiano è andata crescendo, così come la presa su pezzi sempre più ampi di società. Non si tratta soltanto di potere delle televisioni o dell'editoria, ma di una vera e propria egemonia culturale. E sorprende che nell'opposizione, gli ex allievi di Gramsci, ancora oggi, a distanza di tanto tempo, non comprendano i meccanismi e la portata della strategia in atto. Altro che "l'onda lunga" di craxiana memoria. Anche loro, purtroppo, non cambiano mai. Si erano illusi (ancora!) di trasformare Berlusconi in uno statista, offrendogli un tavolo di trattative. S'illudono (ancora!) di poter resistere con la politica del "giù le mani" e con l'arroccarsi nelle regioni rosse, che sono già rosa pallido e rischiano prima o poi di finire grigie o nere. In attesa di tempi migliori. Non ci saranno tempi migliori per l'opposizione. Bisogna trovare qui e ora il coraggio di proposte forti e alternative al pensiero unico dominante, invenzioni in grado di suscitare dibattito e bucare così la plumbea egemonia "bulgara" dell'agenda governativa. Bisogna farsi venire qualche idea, anzi molte, una al giorno, per svegliare l'opinione pubblica democratica dal torpore ipnotico con cui segue gli scatti in avanti di Berlusconi. Lo stesso torpore ipnotico che coglie la preda davanti alle mosse del caimano. Che alla fine, attacca. (21 giugno 2008)

Email ad Angelo Panebianco


Email a: Angelo Panebianco (http://it.wikipedia.org/wiki/Angelo_Panebianco), inviata tramite il sito del Corriere della Sera.
Inviata il: 17 giugno 2008


Egregio Signor Panebianco,
gentile Redazione politica del Corriere della Sera,

in riferimento al suo articolo odierno "Ritorno all'antico", leggerne il titolo in combinazione con il suo nome ha catturato la mia attenzione, inducendomi a pensare che l'antico in questione fosse l'usata pratica di Berlusconi di fermare o cassare con colpi di spugna legislativi i processi in corso che lo vedono imputato. La cosa ha colpito la mia attenzione perché mi pareva strano, essendo occasionale frequentatore della sua letteratura giornalistica, che lei si mettesse a criticare questa nota pratica berlusconiana.

Per fortuna, cliccando sull'articolo, mi sono subito tranquillizzato. L'antico che spaventa lei non è il sovvertimento delle regole democratiche, come per esempio il fatto che la giustizia cessi di essere uguale per tutti, bensì "la sinistra dura e pura" che denuncia questi tentativi. Immagino che per lei in questa sinistra dura e pura rientri anche il Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano quando pretende che le leggi sulla giustizia non abbiano effetto sui processi correnti ai mandanti delle leggi stesse.

Qualora al Presidente del Consiglio stesse a cuore solo garantire la riservatezza dei cittadini regolamentando le intercettazioni telefoniche, potrebbe sempre farlo includendo i reati di corruzione fra quelli intercettabili. Se poi ritenesse che la riservatezza dei cittadini non fosse ancora garantita dall'uso delle intercettazioni in indagini di corruzione, potrebbe evitare di imporre la retroattività della legge ai processi in corso, fra i quali quello che lo vede imputato a Napoli.

Per lei i problemi del Paese non sono questi, bensì sono "i debolissimi poteri di cui gode il premier" e il "numero di poteri di veto" che impediscono a un onesto Presidente del Consiglio di riformare autonomamente la Costituzione senza dover pagare il dazio di ottenere approvazione alle camere legislative (quale obsoleto residuo dell'antichità!) o addirittura il beneplacito di quella ridicola figura, virtuale e decorativa, del Presidente della Repubblica.

Se davvero lei godesse oggi di maggiore credibilità o popolarità di una qualsiasi velina televisiva, ci sarebbe da preoccuparsi per quello che scrive. Invece così c'è solo da preoccuparsi per la sua lucidità, per la quale le faccio comunque i miei migliori auguri di pronto recupero.

Cordiali saluti


Riporto sotto l'articolo di Angelo Panebianco a cui fa riferimento l'email. L'articolo è anche reperibile tramite il link: http://www.corriere.it/editoriali/08_giugno_17/il_ritorno_all_antico_0037a9de-3c2a-11dd-bc39-00144f02aabc.shtml


GOVERNO E OPPOSIZIONE
Il ritorno all'antico
di Angelo Panebianco
Non se ne sentiva la mancanza ma la notizia è ufficiale: è tornato il «regime» con annessi «attentati alla Costituzione » e «derive autoritarie». La sinistra dura e pura, quella che oggi vuole dare lo sfratto a Walter Veltroni per connivenza col nemico, torna agli argomenti di sempre. Mobilita persino (lo ha fatto l’Unità ieri) i «reporter europei» contro il divieto di pubblicare le intercettazioni. È un dettaglio irrilevante, naturalmente, il fatto che nessuno di quei reporter europei (come i pubblici ministeri dei relativi Paesi) abbia mai potuto fare l’uso delle intercettazioni che si è fatto fin qui in Italia. La difesa del circo mediaticogiudiziario viene assimilata alla difesa della libertà di stampa.
Per inciso, chissà come si deve sentire Luciano Violante, nonostante l’autorevolezza di cui ha sempre goduto a sinistra sui temi giudiziari: avendo detto cose assai diverse da quelle che dice la «sinistra anti-regime», rischia di essere trattato da traditore. La battaglia anti-regime ha fatto male alla sinistra in passato. È stata una strada politicamente fallimentare. Se verrà imboccata di nuovo (e ce ne sono i segnali) farà ancora male alla sinistra. E anche alla democrazia italiana. Il paradosso è che la mobilitazione anti-regime non avviene in un Paese che soffre di iper-decisionismo ma del suo esatto contrario, di un’insuperabile debolezza decisionale. Nel 2001 Berlusconi aveva, sulla carta, una fortissima maggioranza ma questo non impedì che la sua azione venisse continuamente bloccata dai veti incrociati. L’illusione ottica si è ripresentata dopo le ultime elezioni.
La vittoria del centrodestra è stata così netta da far pensare che nulla avrebbe potuto impedire a Berlusconi di governare con vero piglio decisionista. Ma non può essere così in un sistema politico come il nostro. L’illusione ottica si sta dissolvendo. Il governo appare già oggi indeciso a tutto. Basti guardare alla girandola di norme che vengono inserite nei decreti (a immediata operatività) e, un istante dopo, ne escono per essere trasferite dentro disegni di legge: in un sistema indecisionista come il nostro, trasferire una norma da un decreto a un disegno di legge significa farla uscire dall’agenda politica. Prima che se ne discuta di nuovo, campa cavallo. A differenza di quanto accade in altre democrazie, in Italia ottenere grandi consensi elettorali e disporre di una grande maggioranza non garantisce la capacità decisionale del governo. Nonostante le differenze fra il governo Berlusconi e il governo Prodi (minor numero di partiti nella coalizione, maggioranza sicura in entrambe le Camere), non è detto che, in termini di capacità decisionale, a Berlusconi vada davvero molto meglio che a Prodi.
Perché restano inalterati i problemi di fondo della nostra democrazia: i debolissimi poteri di cui gode il premier e un numero di poteri di veto, diffusi a tutti i livelli del sistema istituzionale, più elevato di quello di altre democrazie. Basti guardare, ad esempio, alla capacità che hanno certi settori della magistratura campana (il commissario De Gennaro è stato esplicito su ciò) di bloccare o rallentare l’azione governativa nella vicenda dei rifiuti. È strano, o perlomeno prematuro, che si accusi un sistema politico cronicamente malato d’indecisionismo di essere un regime.
17 giugno 2008